La domanda più ricorrente quando si dibatte di cinema italiano – indipendente – è la seguente: esiste davvero una produzione/distribuzione, finalmente orientata verso il rinnovamento ed un progetto di qualità? La risposta è interlocutoria. Se è innegabile, infatti, la fioritura di una nuova generazione di produttori fuori d’ogni omologazione e con una spiccata propensione al “rischio” o, quanto meno, ad identificare il cinema come “industria culturale”, siamo di fronte ad una fenomeno ancora episodico: forzatamente indipendente per poter vantare una concreta competitività di mercato; che lo è troppo poco, in taluni casi, per rivelarsi davvero dirompente, a causa della pressoché totale assenza di una politica distributiva che lo supporti. In mancanza di questa, è del tutto evidente che ogni tipo di sperimentazione linguistica e/o produttiva è destinata al fallimento. Senza ripetere/ripeterci, come un mantra, cause e le responsabilità, utile materia d’indagine e discussione viene, a mio parere, dall’universo del cortometraggio: in termini di contenuti e soluzioni espressive, valori estetici e, non di rado, di scardinamento di canoni drammaturgici. Un concreto motivo di speranza nel futuro del cinema italiano, a patto che non ne vengano disattese le istanze. Nel corso degli anni, attraverso la direzione del Festival Roma Film Corto, posso dire di aver assistito ad un fermento creativo rimarchevole; ho avuto modo di scoprire nuovi autori e registi, attori/attrici di sicuro talento; ma anche montatori, direttori della fotografica, compositori, scenografi che, a dispetto di budget produttivi limitati, hanno espresso professionalità qualificate e già formate. Tracce concrete ed incoraggianti di una proposta di Cinema autoriale, senza quella tendenza alla autoreferenzialità, che rischia di rappresentarne il limite. E se il responso della Giuria dell’ultima edizione del Festival ha premiato opere che hanno saputo indubbiamente connotarsi per sapienza registica e sguardo personale sulla realtà e l’umanità più segreta che la abita, credo di poter dire che il resto del programma – con la rassegna di quaranta opere provenienti in massima parte dalle più qualificate scuole di cinema italiane e già invitate e/o premiate ad importanti festival internazionali – non ha mancato di rappresentare un cinema della contemporaneità “altro” e “popolare”, al contempo; per la capacità di narrare il presente, ed i richiami della storia – attraverso il realismo e la visionarietà: la felice contaminazione tra il primo e la seconda. Valutazioni, suffragate da una significativa partecipazione ed il consenso da parte del pubblico, in un’ ognuna della giornate e dei siti della manifestazione, che ha visto quest’anno anche il complesso museale della Facoltà di Lettere e Filosofia della “Sapienza”, tra i patrocinanti della manifestazione. Un pubblico trasversale, per età, cultura e estrazione sociale, con una predominanza di giovani. Dimostrazione probante che esiste una concreta domanda di “educazione alle immagini” da non disperdere. Un richiamo rivolto alle istituzioni pubbliche e culturali – scuole, università, mass media – e ad ogni operatore del settore – docenti di cinema e, in particolare, ad attori, registi, produttori consacrati, troppo spesso distratti – mi spiace dirlo – verso proposte di divulgazione/formazione culturali, lontane dalle passerelle.. Ha scritto con efficacia Gianni Canova, in occasione dell’Oscar a Sorrentino, “In Francia o in Germania si sente quasi il dovere ‘morale’ di ‘cantare in coro’, di sostenere l’eccellenza della cultura nazionale. Da noi no. Noi siamo solisti, dobbiamo distinguerci”. Canova dal suo osservatorio privilegiato, suggerisce una lettura che tocca l’incapacità del nostro cinema di ‘fare sistema’, rappresentare un autentico “movimento” senza che questo si traduca, come scrivevo anni fa a Giuseppe Tornatore, – che per primo ha mostrato di guardare oltre l’esigenza, lecita, di proporre la sua personale poetica filmica – in uno svilimento delle diversità di pensiero e sensibilità, recuperando quello spirito di corpo della grande stagione del Neorealismo. Non ha senso lamentare la “crisi” (eterna), se chi fa parte del “sistema” non ha il coraggio di staccare per auspicarne uno più inclusivo; non serve denunciare l’assenza di un progetto culturale o l’ostracismo della politica, se manca la reale volontà di dare vita ad una battaglia comune, oltre gli egoismi ed i reciproci sospetti, all’insegna delle idee e della progettualità. I festival le rassegne, ad ogni livello e latitudine, sono – dovrebbero essere – soprattutto questo. E’ la principale motivazione che mi muove a proseguire nella strada intrapresa: promuovere le occasioni di incontro e confronto, attraverso il Festival Roma Film Corto – Cinema Indipendente, ed oltre questo. Se, come è stato, giustamente sottolineato, la Cultura è il più importante Dicastero economico, superare stantii steccati non è solo augurabile ma doveroso.
Roberto Petrocchi
Il nuovo (cinema) che avanza
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